lunedì 11 gennaio 2016

La strada per Katskhi


La strada deviando dalla strada principale di Tbilisi a Zestaponi verso Chiatura passa lungo il crinale delle colline che si innalzano tra i fiumi Buja e Kvirila. Dolci pendii su entrambi i lati, le strisce gialle-verdi e ruggine-marroni dei prati e campi umidi vaporano al sole dopo due giorni di pioggia.


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Dopo il bivio per Dilikauri, il profondo canyon del Kvirila appare all’improvviso sul lato destro. Al di là di essa, ripide colline, con piccoli borghi e chiese sui picchi, come in Umbria. E mentre la strada sale, il panorama della valle diventa sempre più drammatico.


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Prima di Katskhi, la strada va in giro attorno alla grande ansa del torrente Katskhura, che sfocia nel Kvirila. È come passare lungo il bordo di un cratere con un diametro di diversi chilometri, si può vedere l’intero da ogni punto di essa. All’inizio dell’ansa, un monumento vigila sulla valle, la tomba di un eroe caduto nella guerra dell’Osezia del Sud del 2008. I bicchieri rovesciati in un’ordinata fila sulla pietra e il tavolo improvvisato, saldato da rottami metallici, invitano a fermarsi, a bere alla sua memoria, e a cercare di scorgere in lontananza, intorno alla parte centrale del cratere, il Pilastro di Katskhi, che sta da solo davanti alle pareti calcaree del canyon.


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Il monolite calcare alto quaranta metri incuriosì l’immaginazione religiosa fin dall’inizio del cristianesimo in Georgia. Un oggetto particolarmente venerato dei cristiani georgiani è la Santa Colonna nella cattedrale di Mtskheta, scolpita da un albero miracoloso che era cresciuto sopra il manto di Cristo, e il Pilastro di Katskhi fu considerato come la sua controparte creata di pietra da Dio. Nel 10º secolo un eremo fu costruito sulla sommità, che è stato restaurato nel 1990. Fu allora che padre Maxim da Chiatura si trasferì lì, e vive da allora nell’eremo come un stilita moderno. Un piccolo monastero fu costruito ai piedi del pilastro, dove vivono ormai dieci-quindici monaci giovani.

Il pilastro appare prima quando si raggiunge il ponte del Katskhura. Giù, lungo il fiume, si vedono i resti di un trasformatore di una volta, con pecore che pascolano intorno ad esso. Qualche curve della strada ci portano più in alto, da dove una difficile strada sterrata conduce verso il monastero. Un ampio campo si apre tra le scogliere, con una vista ultraterrena del pilastro e della campagnia, al tempo dell’ora d’oro.


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Arriviamo al monastero poco prima il tempo di chiusura, gli ultimi visitatori russi si stanno fotografando davanti al pilastro. Noi siamo gli unici che ancora indugiano nel cortile. Più avanti, di fronte agli edifici di abitazione, un piccolo gruppo di monaci giovani sono seduti in un cerchio, insieme con Padre Maxim. Nel cerchio, un ragazzo di dieci anni, Rezo, sta suonando il panduri, il liuto georgiano a tre corde, mentre il sacerdote accanto a lui canta la melodia. Ci offrono una sedia e un bicchiere di vino. È il compleanno del prete del villaggio, che è salito per festeggiarlo insieme ai monaci. Ha anche portato cinque catechisti, giovani con la faccia chiara e l’occhio vivace. Il più giovane, il già citato Rezo suona molto bene il panduri, canti popolari georgiani, vecchie canzoni, musica pop contemporanea. Qualcuno alza il bicchiere, fa il brindisi con calma, poi il sacerdote lo reciproca. Anche se non è chiaro ciò che dice, dagli occhi scintillanti e le risate si capisce che sono impegnati in battute sagaci. La risposta è seguita da un canto, mentre i bicchieri si riempiscono.



Brindisi e canzone. Registrazione di Lloyd Dunn

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Alla luce del sole al tramonto, il vento forma fantastiche immagini di nuvole sopra il pilastro. Padre Maxim tocca dolcemente il braccio di Lloyd e punta verso il cielo, che veda, come è bello.


Brindisi e canzone. Registrazione di Lloyd Dunn

Il sole è già tramontato dietro le montagne, quando la celebrazione si conclude. Diciamo grazie per l’ospitalità, e secondo l’usanza degli uomini georgiani, ci abbracciamo e ci diamo un bacio sulla guancia. I monaci ci accompagnano alla porta. Vediamo le loro figure magre e nere fino a scomparire alla nostra vista alla prossima curva.



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