martedì 8 dicembre 2015

Sardegna 1959 – Azerbaigian 2015

Che cosa ci porta ad andare lontano? Lontano nello spazio intendo, quando il nostro ci sembra ristretto? Più dello spazio, è la ricerca del tempo perduto. Cè un altrove dove il tempo perduto è presente. Nell’immersione in questi mondi troviamo un tempo più lento, un isolamento che ci aiuta ad ascoltare noi stessi. Abbandoniamo i nostri ruoli e torniamo ad essere noi, con i nostri sorrisi, i nostri sguardi, spesso i nostri silenzi. In quei silenzi ritroviamo, insieme ad un tempo che sembrava perduto, un mondo più vero, quello che per noi, nelle nostre vite, ha smesso di esistere.

Tornati dall’Azerbaigian, il confronto con la Sardegna, quella di cui ho parlato nel post precedente a proposito del bellissimo libro di Carlo Bavagnoli, è stato inevitabile. Le foto scattate a Xinaliq sono mie. Xinaliq era il luogo più desiderato del viaggio. Ne avevo letto nel bellissimo Figli di Noè di Monika Bulaj, la straordinaria viaggiatrice e fotografa polacca a cui a Milano nel mese scorso è stata dedicata una mostra personale che abbiamo come è ovvio visitato, e visto il suo documentario Figli di Noè.

Si arriva a Xinaliq dopo chilometri percorsi in un ambiente naturale straniante e l’emozione è stata fortissima. Mi sono apparsi scorci mozzafiato e il resto, le persone e le case, si sono svelate poco a poco. Xinaliq mi è rimasta nel cuore e vorrei se possibile tornarci. Tornerò sicuramente in Sardegna: qualcosa del mondo ritratto nel libro di Bavagnoli, è rimasto. Nell’attesa sfoglierò entrambi i libri, riguarderò le nostre fotografie trovando nuove analogie. Le foto scattate a Xinaliq non sono foto rubate. Tra i soggetti e me c’è stato un gioco di sguardi. E gioco forza, di silenzi.

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