sabato 24 gennaio 2015

Incontri a Pune


Nelle notti fresche di gennaio si dorme bene, e al levare del sole, rienergizzato dal caffè solubile e pan tostato con margarina dell’albergo, sono pronto ad affrontare di nuovo le strade di Pune. Stamattina visito il tempio Pataleshwar Caves dall’ottavo secolo, a nord dei peths, dall’altra parte del fiume Mutha. Vagando nel quartiere, prima mi chiedo se sono nel posto giusto per un luogo tanto venerabile. Sono circondato da grattacieli in concreto e nuovi cantieri, e il flusso esuberante del traffico riempie l’ampia arteria pluricorsia, sul cui precario orlo sto camminando.


Voltando un angolo, trovo un parco ombreggiato, e tutto diventa immediatamente più tranquillo, come se l’ombrello denso degli alberi schermassero i suoni esterni. A pochi passi oltre l’ingresso si trova una struttura in pietra nel mezzo di un boschetto sereno, ricavata da un unico masso di pietra grigia. Un tetto di pietra, sorretto da pilastri quadrati disadorni, forse tre metri di altezza, si estende su un toro in pietra, recentemente inghirlandato di fiori. Sembra un po’ umile e piccolo nel mezzo della pietra massiccia che lo circonda. Al di là di questa struttura, un tempio di Śiva, pure ricavato nella roccia, una camera buia illuminata solo con lampade ad olio (e un paio di lampadine elettriche fioche), e infuso da un incenso pungente. È un tempio molto attivo, con un flusso costante di persone che entrano e escono.


Lì incontro un europeo barbuto, che, riconoscendomi come non-nativo, inizia una conversazione. Il suo inglese è grammaticalmente perfetto, ma parla con un forte accento. È un rumeno di Maramureș, che ora vive in Canada. Mi racconta le informazioni da sapere sul luogo. Suoniamo insieme il campanello («più forte», dice, «che gli dei possano sentirti!»), e poi andiamo tre volte attorno alla struttura. «E ora, rende la tua preghiera!», istruisce, e io, per cortesia, chino il capo.


Nel cortile, una giovane donna indù mi saluta in ottimo inglese. «Studio la robotica presso il college di ingegneria locale», mi dice. Poi mi chiede: «Quanto costerà la vita in California?» Le dico che non lo so, ma che probabilmente costa molto.


mercoledì 21 gennaio 2015

Acqua stanca


Palma, lungo il Parque del Mar, sotto le finestre del palazzo vescovile,
dove l’acqua viene più vicino alle mura.


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martedì 20 gennaio 2015

Il sorriso della Madonna


A Roma, dietro la chiesa di San Clemente, dove la strada comincia di salire ripidamente sul Celio, all’abbazia medievale dei Ss. Quattro Coronati, e al di là di essa alla Basilica Lateranense alle mura della città, una strana, alterata piccola cappella sta all’angolo. È strana, perché è apparentemente più vecchia di parecchi secoli che l’edificio, al quale fu attaccato, ma anche a causa della sua iscrizione. Le cappelle, crocifissi, colonne di immagine sempre chiedono preghiere per uno scopo specifico, e promettono una specifica assistenza soprannaturale in cambio. Ma la poesia scolpita nella placca di marmo della piccola capella chiede il passante di salutare la Madonna senza qualsiasi interesse.


Il sorriso di Maria
A questi luoghi allieterà
Se chi passa per la via
«Ave o Madre» a lei dirà.


La mappa del 1748 di Giambattista Nolli, il nostro compagno attraverso la storia di Roma, non segna la cappella, almeno non la provvede di un numero, ma non è impossibile, che il piccolo intoppo che sporge all’angolo si riferisce ad esso. Tuttavia nella mappa del 1593 di Antonio Tempesta si può chiaramente vedere la cappella semicircolare all’angolo, a quel tempo ancora davanti a un giardino o campo, di fronte a una casa, circa a metà strada tra San Clemente e i Ss. Quattro Coronati.



La stradina portava per quasi tremila anni il nome via Querquengetulana, o via dei Querceti dopo il querceto, che è ancora visibile nella mappa di Nolli. Tuttavia, secondo l’opera monumentale di Ferdinand Gregorovius sulla Roma medievale, dal primo medievo fu anche chiamato vicus Papissae, la strada della Papessa, perché la casa di fronte apparteneva alla matrona della famiglia Papa.

Dall’undicesimo secolo si emerse anche un’altra spiegazione per il nome della via, che poi per secoli terrà in eccitazione tutta l’Europa. Il domenicano Jean de Mailly da Metz menziona in una nota marginale alla sua cronaca del mondo compilata nel 1099, che ha sentito una storia che deve ancora verificare. Secondo la storia, la spiegazione dell’iscrizione PPP di una pietra a Roma (in realtà, pecunia propria posuit, «eretto sulle proprie spese») è che una donna vestita uomo fu eletta papa, e quando, durante una cavalcata, pubblicamente ha dato luce ad un bambino, la gente uccise tutt’e due, e scrisse sulla tomba: Petre Pater Patrum, Papissae Prodito Partum – «Pietro, padre di padri, svela il parto della papessa». Sembra che le guide di Roma lavoravano duro per i loro soldi già nell’undicesimo secolo.

La storia però entrò nella cronaca dei scandali del Medio Evo nella forma data ad essa nel Trecento dal suo confratello domenicano, il vescovo di Gniezno, Martino di Opava/Troppau. Martino, ovviamente ispirato dal nome della stradina vista a Roma durante la sua inaugurazione, già pretendeva di conoscere anche il luogo esatto di questo incredibile evento, di cui nessuno aveva sentito per quattrocento anni.

«Post hunc Leonem Iohannes Anglicus nacione Maguntinus sedit annis 2, mensibus 7º, diebus 4, et mortuus est Rome, et cessavit papatus mense 1. Hic, ut asseritur, femina fuit, et in puellari etate Athenis ducta a quodam amasio suo in habitu virili, sic in diversis scienciis profecit, ut nullus sibi par inveniretur, adeo ut post Rome trivium legens magnos magistros discipulos et auditores haberet. Et cum in Urbe vita et sciencia magnis opinionis esset, in papam concorditer eligitur. Sed in papatu per suum familiarem impregnatur. Verum tempus partus ignorans, cum de Sancto Petro in Lateranum tenderet, angustiata inter Coliseum et sancti Clementis ecclesiam peperit, et post mortua ibidem, ut dicitur, sepulta fuit. Et quia domnus papa eandem viam semper obliquat, creditur a plerisque, quod propeter detestationem facti hoc faciat. Nec ponitur in cathalogo sanctorum pontifcum propter mulieris sexus quantum ad hoc deformitatem.»

«Dopo Leone [IV, 847-855], Giovanni Anglico, nato a Magonza, era Papa per due anni, sette mesi e quattro giorni. Morì a Roma, e dopo di lui c’era un posto vacante nel papato per un mese. Si dice, che questo Giovanni era una donna, che da ragazza era stata condotta ad Atene, vestito da uomo, da un certo suo amante. Lì è diventato abile in una diversità di rami del sapere, finché non aveva uguali, e in seguito insegnava a Roma le arti liberali, e aveva grandi maestri tra i suoi studenti e il suo pubblico. Un’alta opinione si è diffusa sulla sua vita e apprendimento nella città, e fu eletta papa. Tuttavia, durante il suo papato rimase incinta da un suo cortigiano. Non conoscendo il tempo esatto del parto previsto, ha dato luce a un bambino mentre in processione dal San Pietro al Laterano, in un vicolo tra il Colosseo e la chiesa di San Clemente. Dopo sua morte si dice che fu sepolta nello stesso luogo. Il Papa sempre evita quella strada, e molti ritengono, che lo fa a causa della repulsione di questo evento. Non fu neanche iscritta nell’elenco dei Santi Pontefici, sia a causa del suo sesso, che a causa dell’abominazione del caso.»

La papessa che partorisce nell’illustrazione di Jacob Kallenberg a De claris mulieribus di Bocaccio (1533), e la papessa (Johanna Wokalek) nel film Die Päpstin (2009) di Sönke Wortmann.


Il percorso cerimoniale che conduce dal Laterano, la parrocchia del pontefice romano, al San Pietro, la chiesa di pellegrinaggio più sacra di Roma, aveva infatti tre versioni in questo primo tratto. La più spettacolare, via di S. Giovanni in Laterano, che sarà elevata a Via Papalis da Sisto V nel 1588, fu reso impraticabile per tutto il medioevo dalle rovine del Ludus Magnus, la caserma di gladiatori accanto al Colosseo. C’erano due percorsi alternativi: la pittoresca via dei Ss. Quattro Coronati – che anche noi seguiremo durante il nostro tour nel Celio –, la quale però non era adatta a processioni cerimoniali a causa della sua estrema pendenza, e l’antica via principale, via Labicana, dove oggi il tram passa tra il Laterano e il Colosseo. I papi medievali naturalmente scegliero quest’ultima, ma il popolo di Roma cercava una spiegazione razionale sul perché il papa non segue il percorso più breve, come tutti. E chi cerca, trova.

L’abbazia dei Ss. Quattro Coronati, ancora solitaria sulla collina del Celio, prima della speculazione fondiaria e urbanizzazione della fine del 19° secolo. Quello era lo scandalo davvero succoso del quartiere Celio!

La leggenda della Papessa fu finalmente confutata non dai cattolici, ma i protestanti, con i metodi della critica testuale umanista. Onofrio Panvinio, il grande storico romano nel 16° secolo ancora la accetta come autentica, e cerca soltanto di abbellirne i dettagli, ma l’ugonotto David Blondel chiaramente sottolinea la sua falsa natura all’inizio del Settecento, e da allora anche i papi censurano la sua menzione.

Ma il popolo di Roma sa ciò che sa. Papi e studiosi vengono e vanno, il vicus Papissae fu prolongato fino all’ospedale militare eretto via speculazione fondiaria, un casamento fu costruito sul luogo del giardino, ma la cappella sta ancora lì. Il quartiere Celio, che fu incluso nella circolazione sanguinaria della città solo alla fine dell’Ottocento, mantiene ancora vivi molte tradizioni ed edifici altrove dimenticati. A causa del divieto, il motivo della fondazione della cappella non può essere specificato, ma tutti lo sanno, e i suoi restauratori del Settencento chiedono solo un saluto dal passante per respingere il brutto ricordo del luogo.

Gettando un’occhiata attraverso il cancello di ferro rotto della cappella dalle mura screpolate, dipinte in rosso romano, si può vedere un affresco della Madonna, la cui età è difficile da dire, ma probabilmente si può datare alla fine del Quattrocento. I tratti del viso sono già stati offuscati, ma il suo sorriso allieta ancora i fiori secchi e i nastri votivi appuntati sul cancello della cappella, e la flora mediterranea che cresce abbondantemente sul tetto di tegole e nelle fessure del pavimento, il ricordo dello scomparso querceto.


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venerdì 16 gennaio 2015

Chiamaci, ti aiutiamo

Stamattina nel Trastevere. Un affare scabroso, vero?


Però la soluzione è evidente.


Ecco. Bell’e fatto.

mercoledì 14 gennaio 2015

I peths di Pune


Nel centro storico di Pune aquile grigie volteggiano sul cielo, come cenere di carta sopra il fuoco. Il traffico è implacabile, lo strombazzamento e scricchiolio delle moto compete con i carrelli di spinta, risciò motorizzati e autobus urbani, ciascuna pressa, avanza, punta per spazio, per solo un centimetro più di spazio, e quando lo ottengono, saltano avanti con un calcio allegro del motore. Un pedone deve avere piena fiducia nei conducenti, perché ci sono troppi oggetti mobili a tener d’occhio nello stesso tempo, e il progresso è impossibile se si sta pietrificato all’orlo della strada.


Il vecchio centro di Pune si divide in peths, il vecchio termine marathi significa un piccolo quartiere. Uno di loro, il peth Kasba risale al 14° secolo, il resto fu fondato dal 17° al 19° secolo, sotto il dominio maratha e peshwa. Sette sono chiamati dai nomi maratha dei giorni della settimana. In quei peths i commercianti e artigiani tenevano il mercato settimanale al giorno omonimo del loro peth.


Al giorno d’oggi i peths hanno mercato ogni giorno, come in tutte le città dell’Asia del sud. In gennaio fa secco e relativamente fresco. È un buon periodo per fare un sacco di camminare, guardando nei cortili, e raccogliendo impressioni. Per una pausa si può sedere a una bancarella di cibo e prendere un piccolo tè speziato, fortemente zuccherato. Alla fine della giornata, quando le scarpe sono ricoperte di polvere, e le narici pieni di gas di scarico, si ferma un risciò, e mentre si naviga tramite il resto della città, si pensa, sì, ci torno sicuramente anche domani, c’è tanto che non ho ancora visto.

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mercoledì 7 gennaio 2015

Grassroots

“MIA AMATA PATRIA.” Ho bisogno di volontari per la creazione di questo partito (centro-sinistra). Telefono.
(Lisbona, ieri)

Per creare un partito, si deve cominciare da qualche parte. Concretamente, al principio.

martedì 6 gennaio 2015

Natale bianco


Un sogno d’infanzia. Neve appena caduta, una passeggiata sulla collina al crepuscolo, sulla neve scricchiolante, la luce dei candelabri che si dissolve come il panino tenero, il suono della neve che cad giù dai rami. Un sogno che diventa sempre più irreale con il riscaldamento globale, e che si realizza solo in pochi posti. In Gerusalemme, per esempio, dove Két Sheng / Gyuri ha fotografato la scena seguente:



Che possono fare i paesi poveri di neve? Prendono in prestito le loro cartoline di Natale da paesi ricchi di neve. Come lo fa Canada, da dove in novembre abbiamo ricevuto questo messaggio:

Lavoro per un’organizzazione non-profit in Canada. Ho visto una bella foto nel vostro blog, che mi piacerebbe di utilizzare per la nostra cartolina di Natale. Mi darebbero il permesso?

Certo.



Solo i più cavillosi possono chiedere perché The Centre of Israel & Jewish Affairs manda una cartolina di Natale. Infatti, Hanuka e Natale si coincidero esattamente in questo anno. E per rendere l’ecumenismo ancora più completo, io ho ricevuto questa cartolina esattamente oggi, nel giorno del Natale ortodosso, da Gyuri, che ne ha ricevuto un mazzo dal Centre in omaggio. Così la trasmetto ai nostri lettori finché la festa dura.


lunedì 5 gennaio 2015

Azulejo


«L’azulejo (pronuncia portoghese [ɐzuˈleʒu]; spagnola [aθuˈlexo], dal arabo الزليج az-zulaiŷ ʻpietra lucidata’) è un tipico ornamento dell’architettura portoghese e spagnola degno di considerazione per la sua bellezza consistente in una piastrella di ceramica non molto spessa e con una superficie smaltata e decorata.»



Amina Alaoui: Fado menor

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domenica 4 gennaio 2015

Cartoline rosa 12


Il 4 gennaio [1915]
Posta militare. 14.
Nome del mittente: Károly Timó, 1° Reggimento d’Infanteria, 5° Battaglione
Indirizzo del mittente: 6a Compagnia, 3° Plotone

Indirizzo: All’Egregia Signorina Antónia Zajác
3° distretto, via Kis Korona 52
Budapest




Cartoline precedenti (puntini grigi):

Sztropkó, 31 dicembre 1914
Budapest, 23 dicembre 1914
Budapest, 21 dicembre 1914
Budapest, 11 dicembre 1914
Budapest, 2 dicembre 1914
Budapest, 28 novembre 1914
Budapest, 27 novembre 1914
Budapest, 18 novembre 1914
Budapest, 27 ottobre 1914
Debrecen, 25 settembre 1914
Szerencs, 28 agosto 1914
Caro figlio mio
Ti faccio sapere che sono in buona salute. Sono appena arrivato qui, ma ho già voglia di essere a casa.
Ora è molto tranquillo qui, e nell’ultimo paio di giorni ci sono state pochissime battaglie. Si dice che c’è una tregua di 21 giorni, e dei negoziati di pace sono in corso, che cosa ne è vero?
Siamo in un villaggio dietro la linea di fuoco, è il terzo giorno che abbiamo un periodo di riposo. Qui non c’è nulla, fiammifero, tabacco, candele, tutto è vuoto, ma non inviare niente perché si perderà lungo la via. Hai ricevuto le altre cartoline? Come stai? Comunque, non ti preoccupare per me.
Abbracci e baci dal tuo amante Károly
Ora puoi già scrivere, attenzione all’indirizzo:
posta militare 14, come sopra


[Verso Natale e Capodanno, i feroci combattimenti intorno a Dukla si chetano per qualche giorni. Nei primi quattro o cinque giorni dell’anno le unità del reggimento vagano attorno a Felsőhunkóc, Ladomérvágás, ancora Felsőhunkóc, Kismedvés, Bátorhegy.

La quiete immediatamente suggerisce ai sodati in trincea la realizzazione dei loro sogni. In attesa di una tregua e negoziati di pace.

La memoria ufficiale del reggimento è leggermente diversa:
«Il 1° Reggimento di Budapest ha iniziato il secondo anno della guerra mondiale con fede in Dio e speranza fiduciosa. Già al mattino presto tutti hanno accolto con gioia la notizia, che il nostro supremo signore di guerra, il nostro monarca dai capelli grigi in ansia per il suo popolo, il nostro Re Apostoico, Sua Maestà Francesco Giuseppe I, così come il nostro Comandante dell’Esercito, Arciduca Federico, e il Comandante del 1° Reggimento, Arciduca Giuseppe, adorato dalle sue truppe, hanno salutato per telegrafo i loro eserciti all’occasione dell’anno nuovo.»

Avrebbero potuto inviare anche qualche fiammiferi e candele.]


La vita in trincea, 1915. Propaganda e realtà.